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SANT’OMERO – Sanità, numeri allarmanti: domanda in aumento del 323%, offerta pubblica ferma al +16%. La ASL: “Serve frenare le prescrizioni inappropriate”. Ma è davvero questa la soluzione?
La ASL parla chiaro: l’aumento della domanda di prestazioni sanitarie ha raggiunto il +323%, a fronte di una crescita dell’offerta pubblica del solo 16%. Dati che rischiano di sancire una resa di fronte alla pressione crescente sul sistema sanitario. Ma è davvero inevitabile alzare bandiera bianca?
Secondo l’azienda sanitaria, la chiave per riequilibrare il sistema sarebbe un controllo più rigoroso sulle prescrizioni inappropriate, attribuite in larga misura ai medici di base. Tuttavia, il Comitato Civico per la Difesa dell’Ospedale Val Vibrata e della Sanità Pubblica offre una lettura più articolata e profonda del fenomeno.
In ambito di economia sanitaria si parla da anni di domanda indotta dall’offerta: ovvero, quando l’aumento delle prestazioni disponibili – visite, esami, interventi – genera ulteriore richiesta, spesso non giustificata da reali necessità cliniche. Il vero nodo, infatti, non è solo il modesto +16% nell’offerta pubblica, ma il dilagare delle strutture ambulatoriali private, in costante espansione in molte aree del territorio.
Il rischio? Un sistema sempre più orientato al mercato, dove il messaggio implicito diventa: “Più prestazioni, più salute”. Un’equazione falsa e pericolosa, che alimenta medicalizzazione, ansia, overdiagnosi e, talvolta, persino danni clinici.
La crescente offerta privata – soprattutto in ambito diagnostico – può generare una domanda non necessaria, che finisce per gravare anche sulle liste d’attesa del pubblico. E se è vero che non si può impedire la libera iniziativa imprenditoriale, è altrettanto vero che qualcosa va fatto. E va fatto ora.
Uno dei principali fattori distorsivi è la commistione tra pubblico e privato, oggi troppo spesso ignorata o tollerata. Un esempio emblematico è la libera professione intramoenia svolta da medici ospedalieri in strutture private, talvolta da dirigenti apicali. Tutto legale, certo. Ma è anche eticamente accettabile? È giusto che il cittadino si trovi costretto a rivolgersi al privato per poi “spianarsi la strada” verso il pubblico?
Questo meccanismo mina la fiducia, alimenta disparità, crea percorsi privilegiati e penalizza chi non può permettersi cure a pagamento.
A ciò si aggiungono le convenzioni tra ASL e ambulatori privati, spesso affidati a medici in esclusiva con il pubblico. In teoria dovrebbero abbattere le liste d’attesa, in pratica contribuiscono a cronicizzarle: aumentando l’offerta (privata), aumentano anche la domanda, e il circolo vizioso si autoalimenta. Con il paradosso che è lo stesso sistema pubblico a rafforzare il privato.
In questo contesto, l’integrazione pubblico-privato finisce per favorire logiche commerciali: si sceglie la prestazione non per reale necessità clinica, ma per velocità, comodità o “nome” del professionista. Un modello che tradisce i principi di universalismo ed equità.
Cosa fare, allora? Di certo non arrendersi.
Serve una governance regionale e aziendale forte, lucida, capace di guidare il sistema verso appropriatezza, prevenzione e trasparenza. Serve regolare, monitorare, pianificare. Non per ostacolare il privato, ma per difendere la salute come diritto universale, non come merce.
Solo così si potrà garantire un futuro alla sanità pubblica. Un futuro in cui non sarà necessario scegliere tra salute e portafoglio.
Comitato Civico per la Tutela dell’Ospedale Val Vibrata e della Sanità Pubblica
La ASL parla chiaro: l’aumento della domanda di prestazioni sanitarie ha raggiunto il +323%, a fronte di una crescita dell’offerta pubblica del solo 16%. Dati che rischiano di sancire una resa di fronte alla pressione crescente sul sistema sanitario. Ma è davvero inevitabile alzare bandiera bianca?
Secondo l’azienda sanitaria, la chiave per riequilibrare il sistema sarebbe un controllo più rigoroso sulle prescrizioni inappropriate, attribuite in larga misura ai medici di base. Tuttavia, il Comitato Civico per la Difesa dell’Ospedale Val Vibrata e della Sanità Pubblica offre una lettura più articolata e profonda del fenomeno.
In ambito di economia sanitaria si parla da anni di domanda indotta dall’offerta: ovvero, quando l’aumento delle prestazioni disponibili – visite, esami, interventi – genera ulteriore richiesta, spesso non giustificata da reali necessità cliniche. Il vero nodo, infatti, non è solo il modesto +16% nell’offerta pubblica, ma il dilagare delle strutture ambulatoriali private, in costante espansione in molte aree del territorio.
Il rischio? Un sistema sempre più orientato al mercato, dove il messaggio implicito diventa: “Più prestazioni, più salute”. Un’equazione falsa e pericolosa, che alimenta medicalizzazione, ansia, overdiagnosi e, talvolta, persino danni clinici.
La crescente offerta privata – soprattutto in ambito diagnostico – può generare una domanda non necessaria, che finisce per gravare anche sulle liste d’attesa del pubblico. E se è vero che non si può impedire la libera iniziativa imprenditoriale, è altrettanto vero che qualcosa va fatto. E va fatto ora.
Uno dei principali fattori distorsivi è la commistione tra pubblico e privato, oggi troppo spesso ignorata o tollerata. Un esempio emblematico è la libera professione intramoenia svolta da medici ospedalieri in strutture private, talvolta da dirigenti apicali. Tutto legale, certo. Ma è anche eticamente accettabile? È giusto che il cittadino si trovi costretto a rivolgersi al privato per poi “spianarsi la strada” verso il pubblico?
Questo meccanismo mina la fiducia, alimenta disparità, crea percorsi privilegiati e penalizza chi non può permettersi cure a pagamento.
A ciò si aggiungono le convenzioni tra ASL e ambulatori privati, spesso affidati a medici in esclusiva con il pubblico. In teoria dovrebbero abbattere le liste d’attesa, in pratica contribuiscono a cronicizzarle: aumentando l’offerta (privata), aumentano anche la domanda, e il circolo vizioso si autoalimenta. Con il paradosso che è lo stesso sistema pubblico a rafforzare il privato.
In questo contesto, l’integrazione pubblico-privato finisce per favorire logiche commerciali: si sceglie la prestazione non per reale necessità clinica, ma per velocità, comodità o “nome” del professionista. Un modello che tradisce i principi di universalismo ed equità.
Cosa fare, allora? Di certo non arrendersi.
Serve una governance regionale e aziendale forte, lucida, capace di guidare il sistema verso appropriatezza, prevenzione e trasparenza. Serve regolare, monitorare, pianificare. Non per ostacolare il privato, ma per difendere la salute come diritto universale, non come merce.
Solo così si potrà garantire un futuro alla sanità pubblica. Un futuro in cui non sarà necessario scegliere tra salute e portafoglio.
Comitato Civico per la Tutela dell’Ospedale Val Vibrata e della Sanità Pubblica